• 27nov

    img_1315Quando sono le sette di sera e senti un boato di liberazione e vedi spegnersi le candele e accendersi le luci, allora sei in Nagaland. Sulle montagne,  lungo il confine nord orientale dell’India con la Birmania, vive una moltitudine di popolazioni tribali di razza indo-mongolica che parla una lingua tibeto-birmana. Di nuovo nord-est India, di nuovo “the Seven Sister“. Il Nagaland, riaperto al turismo in modo più o meno stabile da qualche anno, è un luogo dove lo straniero vi si può recare solo dopo aver ottenuto dal Governo una “special visa” che permette di soggiornare per un massimo di 10 giorni in questa “restrict area“. Seppur in modo più ostile img_1030visto le grandi differenze tribali, per non esserne tagliato fuori, il Nagaland divenne Stato nel 1963 più o meno quando lo divennero tutti gli altri staterelli che formano le “Sette Sorelle”. Rimase quindi indipendente, ma sempre sotto il Governo Indiano. La capitale è Kohima,  una cittadina di circa 100.000 abitanti situata a 1.450 metri d’altitudine, su quelle che qua vengono chiamate le Naga Hills. Non ha niente a che fare con una cittadina indiana a partire dalla gente e dalla religione. Lo stile della città riprende un po’ quello indocinese dove i suoi abitanti non si considerano e non vogliono essere considerati indiani. Seppur cristianizzato, rimane oggi una delle regioni con più tribù dell’India. Ogni anno, la prima settimana di Dicembre, img_0891si svolge a Kohima l’ Hornbill Festival. In occasione della manifestazione le etnie si ritrovano in un villaggio appositamente costruito fuori Kohima, a circa mezz’oretta di macchina dalla capitale. Per raggiungere il villaggio e quindi l’arena, bisogna risalire la montagna percorrendo una strada tortuosa, assediata ad ogni curva dall’esercito. Ogni etnia ha un suo spazio che viene utilizzato dalle tribù per provare le danze che effettueranno in pubblico durante la festa. E’ l’unica possibilità di vedere insieme le etnie di tutto il paese nei loro costumi tradizionali. Il Nagaland è composto da 16 tribù completamente differenti per usi e costumi ma riunite tutte p1010695sotto il simbolo della piuma dell’uccello “Hornbill”, il grande Calao Indiano (Bucero Bicorno). Rispettato nel folklore di tutte le etnie dello Stato per le sue qualità di attenzione e grandiosità, questo uccello è strettamente collegato con la vita sociale e culturale della gente, come risulta nelle tradizionali danze e canti tribali e dall’uso delle sue piume e del becco come ornamenti. Queste tribù si distinguono le une dalle altre per i costumi, i monili e le perle che le adornano. Nell’antichità, ogni guerriero doveva guadagnarsi il diritto di indossare ciascuno di questi indumenti compiendo gesta di valore. E’ dunque una terra di folklore, dove la musica è parte integrante della vita di tutti i giorni, gesta di guerrieri e canti popolari. E’ uno spettacolo di colori, suoni di tamburi, canti e urla selvagge.

    img_1327Occorre dirigersi verso nord-est e quindi verso la Birmania per raggiungere la cittadina di Mon. Nel 1997 è stato stipulato un accordo di pace fra i ribelli e il Governo, che però non sempre viene mantenuto. Esistono infatti nel nord del paese, intere zone sotto il controllo dei ribelli. Gli autisti se dovessero essere avvicinati da gente non appartenente all’esercito e gli fosse intimato l’alt, sanno di non doversi fermare, anzi di aumentare la velocità. Bisogna lasciare ad ogni posto di polizia le generalità e seguire un img_1543percorso già prefissato, evitando quelle zone ancora classificate come “off limits” dove sono ancora frequenti attacchi di brigantaggio, soprattutto di notte, soprattutto allo straniero. Nella zona di Mon  fra jungla e foreste, sulle alture delle colline e delle montagne, esistono ancora villaggi integri, abitati dai Konyak,  le ultime tribù Naga dei nostri tempi. Sono tribù molto fiere e bellicose, cacciatori di teste fino a qualche decennio fa. Portare al villaggio una o più teste dei nemici faceva aumentare p1020371il prestigio del cacciatore e il valore della persona. I Naga costruiscono le loro case sulle alture e si possono raggiungere solamente a piedi. E’ cosa normale in questa zona, incontrare lungo le strade della jungla uomini con il proprio fucile in spalla. Bisogna camminare più di mezza giornata chiededendo informazioni di villaggio in villaggio e cercare di raccogliere improvvisate guide locali. Ad ogni villaggio  infatti, può cambiare il modo di comunicare come in questo caso, che si arriva al villaggio Longwa Shangyen con quattro accompagnatori locali oltre al nostro, uno raccolto per ogni centro abitato incontrato. Longwa Shangyen si estende sugli ultimi cinquanta  metri della montagna. Questi villaggi vengono governati da un “Capo Villaggio” e  da un Re, che funge da “Capo Supremo” su diversi  villaggi. Questi popoli tagliatori di teste, rappresentano forse il volto più selvaggio dell’India. Indossano legato alla vita uno straccio o un perizoma, portano ai lobi zanne oimg_1434 denti dell’animale che egli stesso ha ucciso. I loro ornamenti sono ancora una visibile affermazione di status e partecipano a tutti gli effetti alla definizione dell’individuo. Alcuni di essi possono essere tolti solo alla morte del proprietario. I motivi a forma di V che si trovano su certi oggetti-gioielli, si ritrovano tatuati sui petti di questi guerrieri, ed evocano probabilmente corna bovine. Questo tatuaggio a V sul petto e il tatuaggio a maschera sul viso, contraddistingue il cacciatore di teste. Quanto alle donne invece, portano al collo compatti mucchi di collane formate da palline in pasta di vetro su cui prevale il colore arancione ma anche azzurro, giallo e verde, intervallate da bacchette d’osso, avorio o img_1478corno. Bisogna chiedere il permesso al capo villaggio per la visita e lasciargli una piccola donazione. Le case sono lunghe e grandi capanne fatte in bambù con i tetti in paglia. Ci troviamo dunque lontano dal resto del mondo a conoscere uomini che vantano diverse teste tagliate. In questo villaggio c’è anche il Re. Vive proprio in una long-house sul tetto della montagna. La casa è situata in una posizione curiosa, è infatti per metà in Nagaland e per metà in Myanmar. Il Re ci aspetta in fondo alla capanna, cioè in Myanmar, nel buio, a gambe incrociate, vicino ad un fuocherello assieme all’amico fidato con cui fuma pipe d’oppio. Il Re non è anziano come me l’aspettavo, è un uomo ancora in forza, porta collane di perline turchesi attorno le ginocchia, ha i p1020509capelli legati  ed ha tatuato come gli altri uomini, la grande V sul petto. Per alleviare una comunicazione difficile e prolungare questo unico momento con un Re Konyak, non era rimasto altro che donargli qualche sigaretta visto che apprezzano molto il fumo e farsi passare la pipa. In questi villaggi si possono ammirare diversi pezzi unici di statue, statuette e totem incise nei tronchi di legno che sorreggono le capanne, si possono toccare con mani scudi e lance appesi alle pareti, si possono vedere e udire suonare i loro caratteristici tamburi scavati in lunghi e grossi tronchi di legno. Dall’alto di questo crinale guardo la rigogliosa jungla che copre le Naga Hills lasciando curiosare la mia mente,  pensando a quello che ancora potrebbe esserci e in quale villaggio potrei trovarmi se camminassi ancora per qualche ora, in qualsiasi senso. Ma ormai lo sò….. ormai è quasi una certezza… che più si viaggia, più il mondo anziché restringersi, diventa Grande.

    Matteo Osanna

    Foto Nagaland:

    http://picasaweb.google.com/osannamatteo/FotoNagalandICacciatoriDiTeste#