• 10dic

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    Vorrei introdurvi all’argomento regalandovi, oltre a questa vecchia foto dei tempi che furono, questa preziosa testimonianza di mia nonna, che può sembrare una favola, ma che in realtà sono solo episodi della sua vita che le hanno spesso ricordato il cementificio.

    “Mio marito abitava in questa zona chiamata Fabrec perché c’era la fabbrica Mansuelli e sperava di riprendere il lavoro che aveva lasciato prima di partire per la grande Guerra. Gli operai che vi lavoravano abitavano nelle piccole casette lungo la strada maestra o nei dintorni. I carrettieri con birocci e cavalli, trasportavano dal fiume alla fabbrica la sabbia e i sassi che servivano per fare la calce e il cemento. Era una zona di campagna. Nel 1944 il fronte si avvicinava perché la guerra non era finita come avevamo creduto, gli operai erano chiamati alle armi e la fabbrica era rimasta vecchia e paralizzata. Il fronte incalzava e bisognava nascondersi perciò assieme ad altre famiglie della zona ci siamo rifugiati in fabbrica, in un reparto che era sotto un silos. Noi ci eravamo portati anche il maiale che avevamo nascosto nella tramoggia del carbone e quando arrivarono gli inglesi lo trovarono di un colore un po’ anomalo perchè a forza di rotolarsi, da rosa era diventato tutto nero. Nel rifugio mangiavamo e dormivamo insieme, la notte quando dovevo cambiare il mio bambino non potevo neppure accendere la fiamma del lume a petrolio, tutti mi sgridavano perché avevano paura dei bombardamenti, i tedeschi potevano notare quella piccola luce che traspariva fra le pareti del nostro rifugio nella fabbrica. Quando nelle vicinanze cadeva qualche bomba, si sollevava una nube intensa di fumo che non ci si vedeva l’uno con l’altro. Il bambino piangeva perché non respirava e io lo coprivo con un fazzoletto da naso perché gli facesse da filtro. (Quel bambino diventerà poi negli anni anche lui un dipendente e così anche suo nipote). E’ stata una vita da cani! Non vedevamo l’ora di sentire ancora la sirena degli orari di lavoro che prima del fronte suonava otto volte al giorno. Terminata la guerra, la fabbrica a poco a poco ha ripreso a lavorare, compreso mio marito. I nuovi proprietari prima Marchino, poi Fiat e Unicem e oggi Buzzi, hanno migliorato gli impianti e lo stabilimento produceva sempre più cemento. La fabbrica è stata la nostra risorsa e con lo stipendio sempre fisso le condizioni economiche delle famiglie sono andate migliorando. I carrettieri sono diventati camionisti, con i risparmi le case da piccole e basse si sono ingrandite, a poco a poco la zona si è riempita di case nuove, di negozi, di luoghi di ristorazione ed è nata anche una Comunità parrocchiale.”

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    Il Forno, Cuore delle Fabbrica

    Quel fischio che suonava otto volte al giorno e che mia nonna non vedeva l’ora di ritornare ad ascoltare dopo la guerra, io me lo ricordo. Ma mi manca già da anni quel lungo fischio che ritmava la vita delle genti “de Fabrech”. Vedevo dopo aver udito quel suono, gruppi di uomini vestiti in divise blu con una U bianca stampata sul petto, camminare e scomparire chiacchierando ognuno verso la propria casa. Ero talmente abituato a quel fischio, che un giorno sentendolo suonare fuori orario e vedendo una folla di operai più cospicua del solito uscire tutti insieme, rimasi incuriosito; il fischio suonava per la morte di Enrico Berlinguer, era il 1984 e io avevo otto anni. Ora, dopo oltre un ventennio di anni ne ho 32, quel lungo fischio non lo si sente più da tempo, solo un pennacchio di fumo ricorda che “la Mamma” de Fabrech è ancora viva. Sono successe tante di quelle cose in questi anni ad un ritmo talmente veloce, che quando guardo al lento passo che ha sempre accompagnato la “Storia” mi viene un brivido. La globalizzazione è in parte avvenuta, l’altra come una marea, avanza senza fine. Dopo il fallimento del comunismo e del socialismo, ha fallito anche il capitalismo. D’altra parte, un Mondo artificiale fatto solo di obblighi e divieti, basato su promesse e soldi mai esistiti, non poteva resistere all’onda d’urto della gente. Pur di dire “io ho fatto qualcosa” è stato distrutto anche ciò che funzionava e nessun uomo, ha avuto ancora il coraggio di prendersi la colpa e di dire: sono stato io, ho sbagliato! Politici, nascondete tutti le vostre bandiere, non siete più degni di rappresentare alcun partito per l’uomo. Purtroppo è stata un pò anche colpa nostra, gli uomini di una volta non ci sono più e nemmeno gli operai. La storia ora siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso. Ci è stato detto che lo stabilimento di Santarcangelo cesserà la sua attività alla fine di questo anno poiché la competitività della cementeria avviata nel lontano 1920, si è progressivamente deteriorata negli ultimi anni, a causa dei noti incrementi del costo dell’ energia elettrica, combustibili, trasporti, materiali e servizi che si vanno a sommare alla carenza di materie prime ed al progressivo avvicinamento dell’abitato. Nient’ altro che la solita frase tenuta pronta nel cassetto da tutte le aziende. Ognuno comunque cerca di fare bene il suo lavoro e il padrone è sempre il padrone, è quello che decide e comanda. Il mio rammarico non rientra solo nell’ordine delle idee che non potrò più lavorarci, ma mi dispiace, mi dispiace veramente tanto perché la vedo e ci convivo da una vita e perché in fondo…. in fondo a San Michele, siamo stati tutti “Figli” suoi. Ormai la nostra lotta silenziosa, che ha accompagnato questa lenta morte assistita della “Vecchia Signora” è purtroppo inciampata nei soliti risvolti politici, che continuano a non fargli altro che male e che liquidano la cosa spiegandoti tutto e non facendoti capire niente come al solito. Inutile averlo detto dopo, era facile per chiunque dire a conti fatti che l’attività sarebbe proseguita per qualche anno ancora. E poi, perché solo per qualche anno? E voi, signori della stampa, pensavo che il vostro compito fosse quello di informare i cittadini di cose ben più serie delle somme riguardanti il nostro incentivo all’esodo. Avete parlato di cifre come se avessimo fatto una vincita e questo è indegno, è proprio una cosa di scarsa qualità. Il vostro compito è di informare la gente e i cittadini, visto che il giornale è una di quelle Italianate che la si paga due volte, quando lo si compra e quando vi prendete i nostri soldi dallo Stato per finanziarvi. Avete detto molte cazzate. Avete dichiarato che percepiremo 1.000 euro al mese e questo è falso, (saranno circa 850), avete dichiarato che ci pioveranno dal cielo 35.000, 37.000 e 45.000 euro che invece saranno rispettivamente 26.950, 28.490 e 34.650. Quello che più mi dispiace è che in questa “dichiarazione pubblica dei redditi” non siano state citate somme in danaro riguardo quello che percepiscono tutti quelli che sono intervenuti a fare tutto questo casino e che hanno mille soluzioni per ogni proposta e che domani andranno a lavorare.

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    L'ultima lotta

    E per finire voi, nuovi cittadini di San Michele che lasciate la città per cercare la campagna e poi vi dà fastidio il canto di un gallo, voi che avete comprato le case nel giardino di un’area industriale e vi lamentate per il rumore, sarebbe bello che voi tornaste da dove siete venuti magari accompagnati da chi vi ha dato il permesso. Non sareste mai stati degni di abitare “Me Fabrech” così come non sarete mai degni di abitare a San Michele. Una volta San Michele era un corpo e un’anima sola, ora solo un sobborgo di Santarcangelo ormai privo di radici. Noi, non abbiamo vinto niente e purtroppo non è arrivato alcun Babbo Natale. Siamo e resteremo i soliti, operai non comprati ma messi in vendita in un mondo del lavoro che non esiste, vittime di un sistema all’inizio di un fallimento. Purtroppo tutte le cose hanno un inizio e una fine, cose di qualsiasi tipo, anche quelle che sembrano non avere una vita e che invece ce l’hanno. Cose che raccontano il tempo, cose che toccano e fermano la storia, come quel pennacchio bianco che presto non vedremo più. La storia non esclude nessuno, nemmeno “E Fabrech.” Adesso si deve ricominciare da capo, si tratta solo di scegliere e di andare….. e non so, se quel giorno, riuscirò a non piangere.

    Dedicato a chi non ha il coraggio di parlare, dedicato a chi ha paura di dire la verità perché pensa non sia conveniente, dedicato a mio nonno, nato con la cementeria e morto con la cementeria.

    Matteo Osanna (fornaciaio)


    “Compagni lavorate tutti,

    casa per casa, strada per strada,

    azienda per azienda.”

    (Enrico Berlinguer)

    Mi scuso con tutti quelli che ai tempi in cui l’articolo era in prima pagina, avevano lasciato un loro commento e che ora, per motivi tecnici, non possono più essere visibili. Mi scuso ancora con tutti e se anche la cosa sarà difficile, vi invito a riscriverli qui sotto nell’apposito spazio. Grazie.

One Response

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  • Emanuel Says:

    …mi è arrivato il tuo messaggio e subito mi sono precipitato qua…sai…ho visto quella foto nell’ufficio del direttore e ho chiesto se potevo averla…perchè tra quelle persone sicuro c’è pure mio nonno…non l’ho mai conosciuto e a casa mai se ne è parlato tanto…un po’ per i caratteri che siamo…un po’ per tutto quello che sta dentro ognuno di noi…anche mio nonno lavorava li dentro…ricordo invece quel 20 settembre del 1999…entravo li dentro per la prima volta…stato assunto dopo un colloquio che ricordo ancora piacevolemte e piace raccontarlo…era una comica…”ma lei c’ha voglia de lavorà” mi disse il direttore…io viso da bambino sono entrato presto tra il mio silenzio e il mio rispetto a un bel ruolo di responsabilità…e ci sono risucito con i miei mezzi e non a parole…e da li quante ne sono successe?! tante…anche la nostra amicizia e quel raccontarci di passionevoli viaggi…che ora piu che mai so che mi mancheranno…anche io se mi fermo a pensare scoppierei a piangere…sono stati 9 anni duri dove passavano anche giornata a maledire quella fabbrica…ma ora mi manca…mi mancano le sfuriate e i guasti anomali…mi manca il percorso di ogni mattina…mi manca il natale che poche volte è stato quello che doveva essere…cioè felice…sono fiero di avere lavorato per il “fabrec”…e un po’ di storia lo scritta anche io…anche noi…sarà sempre un presente ta i ricordi…e un giorno tra una birra e un’altra chissà…ci verrà in mente qualcosa di bello e di nuovo da fare…
    Emanuel…( Strumentista del “Fabrec” 20/09/1999 31/12/2008 )

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